Libreria Menabò – La fotografia, 11 marzo 2018

In occasione di Vecchi Libri in Piazza – La fotografia di domenica 11 marzo, presso la postazione della Libreria Menabò, potrete trovare:

Alberto Lattuada, Occhio quadrato

  • Anno pubblicazione: 1941
  • Editore: Milano, Edizioni di Corrente
  • Note Bibliografiche: Il quindicesimo titolo delle edizioni di Corrente, costola editoriale dell’omonima rivista d’arte e lettere fondata da Ernesto Treccani che nel 1940 il regime costrinse a chiudere i battenti, è il libro fotografico di Alberto Lattuada dal geniale titolo “Occhio quadrato”. Siamo nel 1941: Alberto Lattuada è un giovane intellettuale che in quegli anni aveva raccolto numerosi scatti con la sua Rolleiflex 6×6. Una volta raggiunta una certa quantità, un centinaio circa, Lattuada sente la necessità di pubblicarle in formato libro non prevedendo certo l’importanza capitale di quanto verrà assemblato. Lattuada è con Mario Soldati sul set del film Piccolo mondo antico e gli mostra il materiale. Parlando della realizzazione del libro il giovane regista piemontese gli regala il titolo del libro che uscirà per i tipi di Guido Modiano il 10 Luglio 1941 con una poesia originale di Ernesto Treccani , un disegno di Fabrizio Clerici e l’impaginazione di Aldo Buzzi Il titolo di per sé rappresenta uno scatto in avanti nell’approccio non solo editoriale ma anche culturale da parte del mondo artistico nei confronti delle opere e della realtà stessa. Sotto il regime fascista la fotografia come disciplina indipendente aveva goduto di ampio favore nonché di sostegno a iniziative come corsi specializzati, libri e mostre. Il tutto avveniva in un ottica propagandistica dove la fotografia fungeva da puro documento tanto dei fasti ufficiali dei raduni oceanici quanto dell’efficienza fascista al lavoro nelle province geografiche e sociali del Paese. Si aggiunga che anche al di fuori della dimensione propagandistica la fotografia si era cimentata ben poco in direzioni artistiche che osassero superare la dimensione oleografica dell’immagine. Titolare un libro in quel modo non rimandava solo alla forma fisica dello scatto e il conseguente sguardo geometricamente obbligato, ma dichiarava implicitamente la possibilità dell’uso delle immagini attraverso una loro funzione autonoma dal testo. Tra l’occhio e l’immagine si genera lo sguardo ed è questo il momento narrativo, lo strumento che permette evocazioni nel proprio immaginario; il titolo assegnato ad ogni fotografia è puramente didascalico e lascia al rapporto occhio/immagine la capacità di prendere significato. Se questo dato semiotico è fondamentale per “inquadrare” l’importanza storica del libro lo è altrettanto il panorama immortalato dalla Rollei di Lattuada. Quanto compare al lettore sono 26 tavole fotografiche, 26 immagini in bianco e nero formalmente eleganti, supportate da consapevole equilibrio visuale: sono angoli di una Milano marginale, periferica; sono scorci di strade, case, mura, uomini, cantieri che si offrono all’osservatore dell’epoca con sobrietà realistica, senza forzature stilistiche che creano un unico panorama umano e politico di fronte al quale non si poteva più pensare alla fotografia come puro strumento documentale e tanto meno misconoscere il dietro le quinte del potere. Nasce così il primo libro neorealista anticipando parte dell’omonimo movimento cinematografico. La vicenda del libro è però delle meno felici. Chi di dovere nelle stanze del fascio milanese, tale Criscuolo, intravede nel libro di Lattuada, l’altra faccia della medaglia che veniva lustrata proprio in quel periodo con il piano urbanistico E42. Lattuada fu convocato e rimproverato e forse invitato a non disutribuire più di tanto quel pericoloso librino: ma non ci fu né censura né sequestro. Chi scrive è convinto che le copie invendute fino a quel momento furono accantonate in qualche appartamento, cantina o soffitta in attesa di tempi migliori: che non arrivarono Arrivarono invece le bombe, gli incendi i rastrellamenti e le fughe e chissà quanti altri accidenti dovette subire il fondo del libro Diversamente non si spiegherebbe l’estrema rarità di Occhio quadrato, di cui non si vede traccia nel mercato da parecchi anni. E’ bello pensare che in qualche soffitta milanese scampata ai bombardamenti, alle invasioni dei senza casa, a quella dei topi negli anni ’50, alle perdite d’acqua dei tetti ammalorati dei ’60, dai condoni edilizi dei ’70, dalle riconversioni in mansarde di lusso degli anni 90, sopravviva qualche scatola con varie dozzine di “Occhio quadrato”; ma questo è il sogno che tiene vivo il mercato e lo spirito dei collezionisti.

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