Beccaria e il manoscritto misterioso…

Un’opera rara ed una unica, tra le rarità che arricchiranno la manifestazione di domenica 11 ottobre grazie alla libreria Il Bulino:

Cesare Beccaria. Dei delitti e delle pene. Harlem (Parigi), s.d. (Giovan Claudio Molini), 1766. In 8° piccolo, pp. 4n.n. VIII, [9]314, 4n.n. 2b. Bella legatura coeva in cartonato semirigido rivestito da carta puntinata, titolo in oro su tassello cartaceo al dorso. Splendido esemplare perfettamente conservato in ogni sua parte. Segue al frontespizio “Edizione sesta, di nuovo corretta ed accresciuta” oltre stralcio di Bacone tra due filetti tipografici lineari. Alle pagine 197-209 “Giudizio di celebre Professore sopra il libro Dei delitti e delle pene” del De Soria. Alle pagine 211-314 “Risposta ad uno scritto che s’intitola Note ed osservazioni sul libro Dei delitti e delle pene” anonimo, contro il Facchinei. Indice alle ultime 4 pagine non numerate. Sesta edizione impressa a Parigi nell’autunno del 1766, poco prima dell’atteso arrivo del Beccaria (partito insieme ad Alessandro Verri il 2 ottobre 1766) nella città più colta d’Europa per raccogliere il plauso internazionale. “Esistono due ben distinte edizioni del Dei delitti e delle pene datate -Harlem, 1766- e designate come “edizione sesta di nuovo corretta ed accresciuta”. Se si considera che una delle due, sotto il falso luogo di Harlem, aggiunge “Et se vend à Paris, chez Molini libraire, quai des Augustins” e che Giovan Claudio Molini pubblicò sicuramente a Parigi un’edizione italiana del libretto, sembrerebbe facile identificare negli esemplari di questo tipo la produzione uscita dai torchi parigini. Invece le cose sembrano essere andate esattamente al contrario. Esaminiamo infatti l’edizione “sesta”, che reca la mera indicazione di “Harlem, 1766”: si tratta di un volumetto elegante ed accurato impresso su una bella velina filigranata con le iniziali E D P M, alquanto più pesante nelle prime segnature, che mostrano in trasparenza una croce di Malta, più leggera nelle successive, distinte da un grande giglio araldico. La tavola allegorica in antiporta e l’intero frontespizio sono incisi in rame su un’unica lastra e sul secondo campeggia una vignetta raffigurante una bilancia e una spada adagiate sopra nuvole, dietro le quali spunta un sole radioso: l’idea della spada e della bilancia deriva forse dalla vignetta collocata dall’Aubert in fronte a una variante della terza edizione, ma qui la lama non è spezzata e l’arma stessa – un sottile spadino da gentiluomo – non ha più nulla che ricordi la daga del boia. Quanto all’incisione dell’allegoria, essa appare eseguita da mano espertissima, con forti chiaroscuri e gran finezza di tratteggio. Se ora esaminiamo la stampa che reca l’indirizzo parigino del Molini, è facile constatare che si tratta di una contraffazione dell’edizione precedente: non solo la carta è di qualità più scadente e peggiori sono i caratteri, ma l’incisione dell’antiporta è molto più rozza e sommaria, la forca è delineata con errori di prospettiva, tutto l’insieme ha un carattere più frettoloso e trascurato. D’altra parte però la vignetta riprende alcuni particolari – il pavimento a quadrettoni, il sangue gocciolante dalle teste recise – che erano presenti nell’incisione originale del Lapi ma non ricorrono negli esemplari della “sesta” edizione di “Harlme, 1766”. Ciò si può spiegare solo o col supporre che questi particolari siano caduti nel trapasso dalla “Harlem” alla “Harlem, Molini” secondo una derivazione che la differenza delle due incisioni sembra escludere, oppure immaginando che il più inesperto dei due esecutori, pur ricalcando un eccellente modello, avesse anche sott’occhio (o nella memoria) la raffigurazione originaria, ispirata ai primi del ’65 dall’autore in persona. Questa fedeltà pedissequa, pur nella trascrizione di un modello arbitrario riconduce ovviamente ad un ambiente livornese e il carattere corsivo fregiato impiegato in diversi titoli, nonché parecchi minuti fregi tipografici sembrano chiaramente additare nella tipografia Coltellini l’officina in cui venne impressa l’edizione “Harlem, Molini”. Sembra dunque doversi concludere, in verità alquanto paradossalmente, che l’edizione stampata a Parigi per il Molini sia la “Harlem, 1766”, che non porta indicazione editoriale di sorta, mentre per contro gli esemplari che recano il suo nome e recapito siano il frutto d’una contraffazione livornese. A ben considerare, la cosa è molto meno inverosimile di quanto a prima vista non appaia: l’editore parigino si limitò a seguire l’uso corrente, ch’era quello di stampare senza note tipografiche e sotto falsa indicazione di luogo i libri audaci o politicamente compromettenti: invece l’Aubert, stizzito per la concorrenza dei torchi francesi e conscio del fatto che “l’edizioni di Parigi le vendono un occhio”, aveva tutto l’interesse a gabellare per prodotto d’oltr’Alpe quello che aveva impresso all’insaputa dell’autore nella propria officina livornese”. (Cfr. Firpo, Contributo alla bibliografia del Beccaria, pp. 367-373).

Giovanni Pacchiotti. Al Conte Giuseppe Figarolo Tarino di Gropello che per molti anni dedicò il suo forte ingegno e la sua impareggiabile attività alla Presidenza della Società torinese per le corse di cavalli, i Soci ricordano la loro ammirazione. s.l. s.d. ma Torino, prima del 1934. In folio, pp. 4 carte n.n.. Perfetto stato di conservazione. Unicum. Manoscritto su pergamena. Legatura in stile monastico, piena pergamena, firmata da Giovanni Pacchiotti al piatto anteriore “LEG. G. PACCHIOTTI – TORINO”; stemma centrale in oro, laccetti di chiusura in cuoio e risguardi in seta bordeaux. Eseguito in Torino, senza data ma prima del 1934 anno in cui il legatore cessò l’attività. Frontespizio finemente illustrato a colori a piena pagina (al verso della prima carta) da V. d’Isola, verosimilmente esecutore dell’intero corpo calligrafico. Poche le notizie di questo disegnatore, attivo a Torino dalla fine dell’800 (Cfr. Eccellenze del Piemonte, vecchie pubblicità di carta… pag. 47 n° 80). Il dedicatario compare già nel 1898 come prima figura nella Direzione della Società (Cfr. L’Esposizione nazionale del 1898, pag. 86). Dopo il frontespizio segue l’elenco dei Soci tra i quali la Fam. Agnelli.

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